Da quella notte di gennaio del 1702 in cui la truppa dei samurai di En-ya attaccò il palazzo dello scellerato ministro Kira per vendicare l’oltraggio e il trattamento perpetrati ai danni del loro Signore e la dispersione del loro clan ordinati dallo Shogun, la storia dei 47 Ronin è divenuta il più alto esempio di lealtà ed eroismo che la storia del Giappone ricordi. L’irruzione nel palazzo di Kira è però soltanto il penultimo atto di una congiura intrisa di sofferenza e di abnegazione, la cui conclusione tragica e grandiosa è il suicidio rituale, o seppuku, dei protagonisti. Prima di arrivare a questo, nel breve volgere di un anno – dal suicidio del Signore Asano Naganori, per ordine dello Shogun su istigazione di Kira, e dallo scioglimento del clan di En-ya – il racconto mette davanti agli occhi del lettore uno scenario tragico di straordinaria tensione: è una storia di non-avvenimenti, la storia di un’attesa – l’attesa della vendetta – e dei suoi dubbi implacabili; è lo spalancarsi dell’abisso del cuore umano davanti al crivello della decisione tra lealtà e tradimento, onore e viltà, giustizia e iniquità. Il testo che presentiamo è il racconto dell’unico dei 47 Eroi che per ordine dello Shogun fu lasciato in vita al fine di tramandare la memoria del gesto dei suoi compagni e di onorarne degnamene le sepolture.
Delle sue qualità morali, del fatto che in esso il paesaggio esteriore e le scene di vita quotidiana trascolorano senza soluzione di continuità in un paesaggio interiore, abbiamo già accennato. Ma questo è anche uno straordinario testo sull’arte della dissimulazione, sulla strategia e sulla «civil conversazione», sostenuto da una suspense degna di un romanzo di spionaggio.
Indimenticabili giganteggiano le figure di Oishi Guranosuke, il capo dei samurai del clan di En-ya e della congiura contro Kira, che simula l’abbandono della propria moglie e la discesa nell’abiezione del sesso e della crapula per indurre nel ministro quella caduta di attenzione che permetterà di prenderlo in trappola; dell’anziana madre di Hara Mototochi, che si suicidia affinché il figlio, nell’ora dell’attacco e del pericolo, non sia trattenuto, e quindi indebolito, dal pensiero di lei e del suo destino; di Akaigaki Masakata, il samurai ubriacone, soprannominato dalla cognata «l’uomo con la fiasca di sake», che invece è un guerriero dallo spirito immacolato e dall’inflessibile lucidità mentale, un seguace giapponese di quella che, nell’esoterismo islamico, si chiama «Via della riprovazione».